Se è vero che ogni giorno si sente parlare di ragazzini e ragazzi alle prese con la pre e adolescenza, ogni giorno sento parlarmi i genitori di questi ragazzi alle prese con le proprie difficoltà.
Mi colpisce molto in particolare un aspetto: il senso di solitudine che portano e raccontano quotidianamente nel mio studio. Lo studio privata è sicuramente un contesto specifico che già di per sé ha la premessa della volontarietà di riflettere su sé stessi, ma ci sono tanti, uomini e donne, mamme e papà, che ogni giorno si impegnano e si fanno mille domande circa il proprio modo di fare il genitore. “Quanto e quale internet? Quanto stare vicino e quanto lasciare di spazio autonomo? Che vestiti comprare? ” ecc. Le domande e i dubbi sono i più disparati. E direi “per fortuna!” E poi la riflessione… “mi sembra di essere l’unico ad avere questo problema …”
Domande apparentemente semplici, ma con altre mille fanno riflettere su ben altro. Il punto che voglio sottolineare è anche con chi e come farlo. Molti genitori dicono che si sentono soli, che molto spesso non hanno altri confronti se non poche parole con chi si incontra di sfuggita, che il tempo anche con amici, parenti ed altri compagni di classe è sempre molto poco e a volte ci si sente in difficoltà nel parlare per il timore di non essere capiti o giudicati. (Questo aspetto mi fa ripensare ai loro figli: quanto i ragazzi vivono il timore del giudizio? Ma questo poi è anche un altro discorso…). Nelle diverse serate che faccio incontrando insieme genitori, insegnanti ed educatori, insieme ad altri colleghi, emerge spesso la solitudine, la sensazione di provare da soli, l’idea che “non so se verrò capito, compreso, che non so da dove cominciare…” perché “magari sono l’unico”.
Le istituzioni di riferimento dei ragazzi sono riassumibili in famiglia e scuola. Ma ci sono anche altri mondi importanti a questa età: associazioni, attività sportive, musicali, ecc. L’incontro dei vertici di questi sistemi avviene in maniera frettolosa, spesso in un’atmosfera reciprocamente sospettosa, in cui si attribuisce all’altro la responsabilità di ciò che non funziona.
Bisognerebbe iniziare ad accogliere una visione di coordinamento e reciproco interesse e disponibilità: riuscire a trovare una collaborazione ed alleanza tra scuola, famiglia e associazioni. Ogni sistema può portare, secondo le proprie caratteristiche il proprio contributo, aprendosi all’altro e permettendosi un fluire comune verso la stessa direzione educativa.
Io lavoro con privati e questo mi relaziona direttamente con genitori e famiglie, ma non possiamo dimenticare i diversi sistemi cui ogni genitore appartiene, bisogna ampliare lo sguardo e lavorare non sul singolo ma collaborare in un orizzonte ampio. Un esempio virtuoso? In una classe scolastica gli insegnanti hanno sollevato la criticità di cellulari troppo utilizzati da alcuni bambini. In una riunione tra genitori ed insegnanti si è deciso che fino alla fine dell’anno scolastico nessun bambino poteva a vere un proprio telefono, ma al bisogno c’era quello del genitore. I “grandi” erano d’accordo ed i “piccoli” hanno tranquillamente accettato la decisione, nessuno era diverso tra loro.
Chi può iniziare? Tutti! Ognuno, per quello che rappresenta, inizia per primo …